Scrivere per i giornali

1966—1994

Nei primi anni ’90 quando Vittorio Feltri andò a dirigere «L’Indipendente» chiamò Sigfrido Bartolini a collaborare come prima firma per la critica d’arte.

Negli anni di quell’esperienza, Bartolini scrisse più di cento articoli: dalla tradizione figurativa italiana ai grandi nomi della pittura e dell’incisione europea (da Dürer a Goya, da Matisse a Utrillo, a Corot), ai fatti e misfatti, nomi, miti ed equivoci dell’arte contemporanea. Un corpus critico di primordine.

Alcuni di questi articoli sono articoli lunghi e complessi, come dei microsaggi, eppure vengono contenuti in giornali, in quotidiani: come “L'Indipendente“ prima, “Il Giornale”, poi e infine “Libero”, facendogli scoprire anche l'importanza del giornalismo a cui questo critico militante era avverso. 

Sigfrido Bartolini aveva iniziato a scrivere articoli di critica d'arte e di costume fin dali anni '60, ma in modo saltuario  e costante soltanto per brevi periodi

Non erano mai scritti d’occasione, articoli “alimentari” o per onore di firma: si capiva che scriveva quando aveva qualcosa da dire e su ciò che veramente lo interessava.

Per tutti gli anni ’70 la sua firma è più collegata a nomi di colleghi amici che non a una testata. Fu così per il «Conciliatore», mensile legato al «Borghese» di cui era direttore Piero Capello, per il «Roma» di Piero Buscaroli, per il trimestrale «Elementi” diretto da Stenio Solinas, per il "Tempo" e il «Settimanale” e ai tempi di Alfredo Cattabiani, per le edizioni Volpe…

Quando, per un motivo o per un altro, cambiavano le direzioni dei giornali o dei rispettivi servizi culturali, lasciava anche Bartolini: le sue erano scelte basate su una stima intellettuale e/o amicale che gli permetteva quella libertà di pensiero senza condizionamenti, alla quale non avrebbe saputo e voluto rinunciare.

 

Chi scrive d'arte come Sigfrido Bartolini oggi in Italia? Nessuno. È unico. Scomparso Giovanni Testori e troppo indaffarato in altre meritorie attività Vittorio Sgarbi, la sola prosa godibile e il solo giudizio di cui mi possa fidare è il suo.

Vittorio Feltri, dalla prefazione al volume "La Grande Impostura"