1960—1990
Negli anni Sessanta Sigfrido Bartolini abbandona il monotipo e ritorna a dipingere il “Paesaggio”, un paesaggio contemplato ma ritagliato e ricostruito da un’analisi visiva, quasi come inquadrato da un obbiettivo fotografico.
Opera piuttosto una discesa nel profondo della forma che procederà incessante nel tempo.
...l'immagine, che se fosse affidata solo all'emotività potrebbe cadere in qualche retorica, è sorretta invece da un lucido scrutinio formale. “Cercherò fino in fondo il segreto delle cose e degli uomini, la meraviglia della forma”, scrive l'artista in una pagina del suo diario.
Elena Pontiggia
Bartolini costruisce un paesaggio che lievita nella coscienza dei singoli facendo emergere idee in grado di scuotere un'immagine consolidata della Toscana, senza cancellarne il dato più profondo.
Si potrebbe dire che dopo Bartolini i cipressi sono meno cipressi.
Quello che gli sta a cuore – scrive Elena Pontiggia – è l’eterno spettacolo della natura [...]. Quello che gli sta a cuore, insomma, è un mondo dove tutto acquista le cadenze del mito, delle cose che «non avvennero mai, ma sono sempre (Calasso)».
La selva di Junger, un autore che ama, sembra tramutarsi nella sua poetica in un mondo panico, ma in realtà con l’autore tedesco Sigfrido Bartolini ha in comune una visione della natura che ha espulso ogni antropocentrismo.
Claudio Rosati